02 giugno 2013

La favola neroverde

di Rocco Morano
Partiamo dalla fine, come spesso si usa fare in alcuni film, per poi riavvolgere il nastro e tornare indietro, laddove tutto è iniziato e giungere insieme a quello che può essere considerato un vero e proprio lieto fine.
Sono le ore 18:29 del 18 maggio 2013, siamo a Modena e precisamente allo Stadio Braglia. Circa 11.000 persone sono con il fiato sospeso, ad un passo dal coronare il sogno di una vita. Non è l’ultima puntata di Blu Notte, ma gli istanti finali di Sassuolo–Livorno, crocevia per il ParAdiso. Succede che il numero 27 amaranto Emerson ribatte di testa un rinvio di Pomini, il “bionico” capitan Magnanelli intercetta e verticalizza per Simone Missiroli che ha, per l’ennesima volta, la Serie A spalancata davanti a sé. Questa scena i 15 mila del Braglia (4.000 da Livorno) l’hanno già vissuta 2 minuti prima, ma questa volta è diverso, questa volta colui che è stato nominato come miglior giocatore della Serie Bwin decide di scrivere definitivamente la parola “Fine” ad un’autentica cavalcata: sinistro e sfera che colpisce la traversa (come se di brividi non ce ne fossero ancora stati) e poi sbatte a terra oltre la fatidica linea.
Apoteosi. Sì, forse è il termine giusto per tentare di descrivere quello che accade in quei secondi in uno stadio che, per una delle poche volte, è una vera bolgia neroverde. Io ero in curva e li vedevo, erano accanto a me e potevano avere 16/17, forse 18 anni; credetemi, piangevano di felicità. Insieme a loro c’eran le loro mamme, i loro cugini, perfino i loro nonni. C’era insomma tutto un popolo, c’era tutta Sassuolo. Erano lacrime di gioia e liberazione, ce l’avevano fatta finalmente, dopo mesi e anni, a raggiungere il Paradiso calcistico della Serie A. Quella che ognuno di noi sogna da bambino, magari per arrivarci con le scarpette ai piedi, o magari tifando la squadra della propria città.
L’urlo del Braglia è l’urlo di Sasôl (così lo chiamano nel dialetto Modenese), un comune di 40.000 anime in provincia di Modena, “capitale della Ceramica” e uno dei principali centri-traino dell’economia dell’Emilia-Romagna. Attendevano questo momento da anni ormai, da quando il 27 Aprile 2008 il Sassuolo di Max Allegri conquista la serie cadetta ai danni del Manfredonia. Da quel momento in poi la matricola emiliana sfiora più volte il colpo grosso mancandolo per un soffio. Tutto ciò grazie ad un’esemplare programmazione di una solidissima società a capo del quale si erge il Patron Giorgio Squinzi, quasi una divinità ormai da quelle parti, assieme a lui il Presidente Carlo Rossi, il Direttore Sportivo Nereo Bonato ed uno staff che fa della serietà uno dei suoi valori cardine. Si susseguono sulla panchina nomi importanti: Allegri appunto, Pioli, Pea, passando per Mandorlini ed Arrigoni, fino ad arrivare all’artefice del miracolo ovvero Eusebio Di Francesco. Sembrava voler mollare il patron dopo i singolari episodi nei play-off dell’anno scorso con la Samp, ed invece no. Ha rilanciato e lo ha fatto nella maniera più consona alla piazza: pochi grandi nomi (Missiroli e Terranova), qualche “vero” senatore (Magnanelli e Pomini) e tanti giovani (Berardi su tutti). A diriger l’orchestra del 4-3-3, l’abbiam detto, Mister DiFra. Un campionato letteralmente dominato in lungo e in largo per poi, sul più bello, creare quasi a farlo apposta 22 giorni di suspance: sono quelli che passano dal primo possibile match-point nel derby con i canarini del Modena (quasi uno scherzo del destino) perso in rimonta alla vittoria sul Livorno; nel mezzo l’altra beffa col Padova, manco a dirlo, dell’ex Pea (1-1) e l’incredibile 2 a 2 di Lanciano.
Evidentemente era scritto, si doveva soffrire fino alla fine, fino all’ultima giornata, all’ultimo minuto di recupero, il 96esimo! Un finale poco adatto ai deboli di cuore, che forse nemmeno l’autore più folle poteva pensare di scrivere. Mai citazione fu più adatta di quella di Massimo Barchiesi di RadioUno nel raccontare l’esplosione dello stadio Braglia al gol del “Missile”: “Gente che piange, gente che si sente male…”. E’ proprio vero, è accaduto tutto questo, un anziano tifoso a mezz’ora dal fischio finale s’era perfino sentito male. Un trionfo sudato, voluto con tutte le forze, contro tanti nemici in campo e fuori (screzi con i rivali canarini),  una promozione che non rappresenta solo la festa dei Sassolesi, ma di tutta la gente che a questa squadra s’è man mano affezionata col tempo; anche per quelli come me, che a 3 anni non sapeva nemmeno dove fosse Sassuolo e non girava certo con la sciarpa neroverde al collo, che hanno seguito una volta giunti a Modena le tribolate vicende di cadetteria sperando in una storica promozione. Una squadra che ha unito tutti, ha divertito e fatto soffrire ed ha meritatamente vinto sul campo sovvertendo ogni tipo di pronostico.

Concludo elogiando con tutto me stesso alcuni ragazzi in particolare. Quelli che quella stessa sciarpa al collo invece l’han sempre tenuta, orgogliosi della loro città e della loro squadra del cuore, dalla serie D alla A, sempre e comunque, in ogni stadio, senza la possibilità di avere una loro curva, senza essere accompagnati dalla grande folla, e come amano definirsi loro Pochi, ma Buoni. A loro va il merito di averci sempre creduto, di aver sofferto nei momenti difficili senza mollare, sapendo di venire da una piccola realtà senza pressioni e senza grosse aspettative, consci del fatto che ogni piccolo passo verso il sogno corrispondeva ad una sempre più grande soddisfazione. Un sogno coltivato in gran segreto, di cui ora possono meritatamente raccoglierne i frutti. Il mirAcolo è anche loro… la favola, per ora, è “tutta qui”. 

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