Partiamo dalla fine, come spesso si usa fare in alcuni film, per poi riavvolgere il nastro e tornare indietro, laddove tutto è iniziato e giungere insieme a quello che può essere considerato un vero e proprio lieto fine.
Sono le ore 18:29 del 18 maggio
2013, siamo a Modena e precisamente allo Stadio Braglia. Circa 11.000 persone
sono con il fiato sospeso, ad un passo dal coronare il sogno di una vita. Non è
l’ultima puntata di Blu Notte, ma gli istanti finali di Sassuolo–Livorno, crocevia
per il ParAdiso. Succede che il numero 27 amaranto Emerson ribatte di testa un
rinvio di Pomini, il “bionico” capitan Magnanelli intercetta e verticalizza per
Simone Missiroli che ha, per l’ennesima volta, la Serie A spalancata davanti a
sé. Questa scena i 15 mila del Braglia (4.000 da Livorno) l’hanno già vissuta 2
minuti prima, ma questa volta è diverso, questa volta colui che è stato
nominato come miglior giocatore della Serie Bwin decide di scrivere
definitivamente la parola “Fine” ad un’autentica cavalcata: sinistro e sfera che
colpisce la traversa (come se di brividi non ce ne fossero ancora stati) e poi
sbatte a terra oltre la fatidica linea.
Apoteosi. Sì, forse è il termine
giusto per tentare di descrivere quello che accade in quei secondi in uno
stadio che, per una delle poche volte, è una vera bolgia neroverde. Io ero in
curva e li vedevo, erano accanto a me e potevano avere 16/17, forse 18 anni;
credetemi, piangevano di felicità. Insieme a loro c’eran le loro mamme, i loro
cugini, perfino i loro nonni. C’era insomma tutto un popolo, c’era tutta
Sassuolo. Erano lacrime di gioia e liberazione, ce l’avevano fatta finalmente,
dopo mesi e anni, a raggiungere il Paradiso calcistico della Serie A. Quella
che ognuno di noi sogna da bambino, magari per arrivarci con le scarpette ai
piedi, o magari tifando la squadra della propria città.
L’urlo del Braglia è l’urlo di
Sasôl (così lo chiamano nel dialetto Modenese), un comune di 40.000 anime in
provincia di Modena, “capitale della Ceramica” e uno dei principali centri-traino
dell’economia dell’Emilia-Romagna. Attendevano questo momento da anni ormai, da
quando il 27 Aprile 2008 il Sassuolo di Max Allegri conquista la serie cadetta
ai danni del Manfredonia. Da quel momento in poi la matricola emiliana sfiora
più volte il colpo grosso mancandolo per un soffio. Tutto ciò grazie ad
un’esemplare programmazione di una solidissima società a capo del quale si erge
il Patron Giorgio Squinzi, quasi una divinità ormai da quelle parti, assieme a
lui il Presidente Carlo Rossi, il Direttore Sportivo Nereo Bonato ed uno staff
che fa della serietà uno dei suoi valori cardine. Si susseguono sulla panchina
nomi importanti: Allegri appunto, Pioli, Pea, passando per Mandorlini ed
Arrigoni, fino ad arrivare all’artefice del miracolo ovvero Eusebio Di
Francesco. Sembrava voler mollare il patron dopo i singolari episodi nei
play-off dell’anno scorso con la Samp, ed invece no. Ha rilanciato e lo ha
fatto nella maniera più consona alla piazza: pochi grandi nomi (Missiroli e
Terranova), qualche “vero” senatore (Magnanelli e Pomini) e tanti giovani
(Berardi su tutti). A diriger l’orchestra del 4-3-3, l’abbiam detto, Mister
DiFra. Un campionato letteralmente dominato in lungo e in largo per poi, sul
più bello, creare quasi a farlo apposta 22 giorni di suspance: sono quelli che
passano dal primo possibile match-point nel derby con i canarini del Modena
(quasi uno scherzo del destino) perso in rimonta alla vittoria sul Livorno; nel
mezzo l’altra beffa col Padova, manco a dirlo, dell’ex Pea (1-1) e
l’incredibile 2 a 2 di Lanciano.
Evidentemente era scritto, si
doveva soffrire fino alla fine, fino all’ultima giornata, all’ultimo minuto di
recupero, il 96esimo! Un finale poco adatto ai deboli di cuore, che forse
nemmeno l’autore più folle poteva pensare di scrivere. Mai citazione fu più
adatta di quella di Massimo Barchiesi di RadioUno nel raccontare l’esplosione
dello stadio Braglia al gol del “Missile”: “Gente che piange, gente che si
sente male…”. E’ proprio vero, è accaduto tutto questo, un anziano tifoso a
mezz’ora dal fischio finale s’era perfino sentito male. Un trionfo sudato,
voluto con tutte le forze, contro tanti nemici in campo e fuori (screzi con i
rivali canarini), una promozione che non
rappresenta solo la festa dei Sassolesi, ma di tutta la gente che a questa
squadra s’è man mano affezionata col tempo; anche per quelli come me, che a 3
anni non sapeva nemmeno dove fosse Sassuolo e non girava certo con la sciarpa
neroverde al collo, che hanno seguito una volta giunti a Modena le tribolate
vicende di cadetteria sperando in una storica promozione. Una squadra che ha
unito tutti, ha divertito e fatto soffrire ed ha meritatamente vinto sul campo
sovvertendo ogni tipo di pronostico.
Concludo elogiando con tutto me
stesso alcuni ragazzi in particolare. Quelli che quella stessa sciarpa al collo
invece l’han sempre tenuta, orgogliosi della loro città e della loro squadra
del cuore, dalla serie D alla A, sempre e comunque, in ogni stadio, senza la possibilità
di avere una loro curva, senza essere accompagnati dalla grande folla, e come
amano definirsi loro Pochi, ma Buoni. A loro va il merito di averci sempre
creduto, di aver sofferto nei momenti difficili senza mollare, sapendo di
venire da una piccola realtà senza pressioni e senza grosse aspettative, consci
del fatto che ogni piccolo passo verso il sogno corrispondeva ad una sempre più
grande soddisfazione. Un sogno coltivato in gran segreto, di cui ora possono
meritatamente raccoglierne i frutti. Il mirAcolo è anche loro… la favola, per
ora, è “tutta qui”.
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