22 maggio 2013

FVCG

di Simone Buscaglia
“Non importa quanto stretto sia il passaggio, quanto piena di castighi la vita, io sono il padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima” (Invictus).
Non tutti i tifosi possono avere la fortuna di essere rappresentati da un giocatore che cita W.E. Henley.
Quelli del Toro, fino a pochi giorni fa, avevano questo privilegio.
Rolando Bianchi (classe ’83), un giocatore che a dispetto del suo metro e novanta per ottanta chili, incarna tutti i valori della brava persona, tranquilla e colta, sempre presente ma senza far rumore. Essendo bergamasco, incomincia a tirare i primi calci (e anche i secondi) tra le file della Dea (Atalanta), con la quale esordisce nel massimo campionato italiano. Dopo aver girovagato per l’Italia (Cagliari, Reggina) è sbarcato nel Regno Unito, tra le fila di un Manchester City non ancora ricoperto dai soldi dello sceicco Mansour. Esperienze internazionali che l’hanno migliorato soprattutto a livello calcistico.
Nell’inverno tra il 2007 e il 2008 è vicinissimo a passare tra le file del Torino, ma all’ultimo momento sceglie di accettare l’offerta, ben più danarosa, della Lazio. Destino vuole che la sua prima partita da giocatore biancoceleste sia proprio contro i granata appena rifiutati. Entrato nel secondo tempo, non regge la pressione dei fischi dei 25.000 spettatori dell’Olimpico di Torino, e dopo solo 5 minuti si fa espellere dal campo di gioco. In quel momento, come da sue dichiarazioni, capisce quanto una tifoseria può influire su un giocatore.
Può togliere tanto, ma dare anche di più …
Dopo soli 6 mesi nella capitale, decide quindi di abbracciare quei tifosi che tanto l’avevano odiato alla fine del mercato invernale. Approda tra le file della squadra meno benestante di Torino e mette subito in mostra l’indiscutibile fiuto del goal. In 5 stagioni segna la bellezza di 77 reti, piazzandosi al decimo posto nella classifica di tutti i tempi del Torino, superando una leggenda di Superga come Ezio Loik.
Entra di diritto nella storia del club granata. I tifosi lo apprezzano per l’impegno che ci mette su ogni pallone, la serietà che fa trasparire in ogni sua dichiarazione, la disponibilità per grandi e piccini e la tranquillità con cui si presenta alla fine di ogni partita andata male. Dopo una retrocessione travagliata nella serie cadetta, Bianchi promette che riporterà i tifosi nella serie maggiore, il che avviene dopo tre anni di purgatorio. Il Toro ritorna nell’Olimpo del calcio e Bianchi ne è il suo condottiero.
Ma come tutte le favole, arriva sempre una fine.
Con la riconferma del tecnico Ventura e la decisione di abbassare drasticamente il monte ingaggi del presidente Cairo, l’avventura nel Toro finisce una fresca domenica di maggio 2013. L’addio è segnato da un altro goal, da un agonico giro di campo, da qualche lacrima e da molti sorrisi sinceri.
Andati via tutti, all’Olimpico di Torino rimane solo una bandiera granata, un po’ stinta dal sole e dagli anni passati.
Nel centro campeggia una scritta bianca: “Rolando, sarai sempre il capitano delle nostre anime”.

1 commento :

  1. parole sacrosante ..........

    far emozionare la maratona son riusciti in pochissimi

    per sempre

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